Noi Gli Omiccioli

Fondazione Omiccioli

NOI GLI OMICCIOLI

Il progetto espositivo “Noi, gli Omiccioli: racconti di storie e colore” è l’occasione per commemorare due autori che hanno rappresentato il Novecento romano, in un momento particolare coinciso con la ricorrenza del centenario, nel 2021, della nascita di Alfonso Omiccioli, protagonisti con le loro opere nella splendida cornice di Villa Altieri, sede della Città Metropolitana di Roma Capitale.

L’iniziativa, per ragioni dovute all’emergenza sanitaria provocata dal Covid 19, ha subito un ritardo nella sua realizzazione, ma conserva tutta la forza del periodo storico nella quale nasce, quando la percezione e la concretezza della nostra “normalità” è stata totalmente stravolta nelle sue più piccole abitudini. Neppure il mondo dell’arte è rimasto escluso dalle pesanti conseguenze della pandemia, subendo terribili conseguenze eppure cercando nuovi canali nella comunicazione attraverso il web, per continuare a raggiungere ed incontrare il pubblico e non perdere quel legame, forte ed indissolubile, e reagire con la bellezza come anestetico al clima di paura ed inquietudine vissuto in questi anni, ravvisando alcune similitudini tra il periodo contingente e quello in cui gli Omiccioli operarono, in simbiosi con il territorio di Roma.

Non a caso per l’emergenza Covid 19 si è spesso usato un linguaggio di guerra contro un nemico invisibile ed insidioso e la sfida ambiziosa si rivela nel provare a ristabilire il ruolo imprescindibile della cultura nella rinascita dell’umanità. Da subito si è avvertita l’urgenza di tornare a confrontarsi con una “normalità” mutata e al tempo stesso ansiosa di tornare ad occupare gli spazi fisici in cui dialogare e condividere emozioni, preoccupazioni ma pure la carica energetica sprigionata dalla visione dell’opera artistica come i medesimi valori che informarono l’arte nello spazio tra i due conflitti mondiali, tuttora di sorprendente attualità.

La retrospettiva “Noi gli Omiccioli – racconti di storie e colore” non è solo la circostanza per “studiare, promuovere, diffondere e divulgare le opere di Alfonso e Giovanni Omiccioli, mantenendone la memoria al fine di onorare il loro pensiero artistico”, bensì apre interrogativi sul concetto di memoria nella moderna società, definita dal sociologo Bauman con l’aggettivo “liquida”, interpretando la nostra quotidianità regolata dal caos e da quel senso di disorientamento che avvolge l’esperienza individuale e le relazioni sociali, nel loro continuo decomporsi e ricomporsi velocemente, in modo vacillante, incerto, fluido e volatile.

Una sensazione accelerata, come anzidetto dall’emergenza sanitaria, ma che affonda le sue radici in una serie di stravolgimenti a tutti i livelli della società e che premono nel dover riconsiderare la funzione delle istituzioni culturali in relazione ad un sistema socio-culturale multidimensionale, costruito sull’implementazione di strumenti tecnologici e digitali. Una società nella quale il concetto di memoria finisce per liquefarsi in concatenazioni interminabili di immagini dal senso sfuggevole, criptico inaccessibile con il rischio di rimanerne esclusi in assenza di password per l’accesso all’informazione.

Titolo: Orto con galletto
Tecnica: Olio su Tela
Dimensioni: 23X23
Anno: 1944
Ubicazione: Collezione Privata

Titolo: Orto Grande
Tecnica: Olio su Tela
Dimensioni: 44X35
Anno: 1945
Ubicazione: Collezione Privata

Ma l’arte per sua natura ingloba le diverse realtà con i suoi meccanismi, e ne rielabora nuove forme di linguaggio che, tramite le fondazioni e gli enti culturali, assicurano di mantenere vivo il rapporto con il passato perché, come nel nostro caso, i semi delle attuali esperienze artistiche sono da ricercarsi in quel patrimonio di conoscenza, bellezza e ricchezza altrimenti destinato all’oblio, e invece da salvare e rendere fruibile attraverso la persistenza di questi luoghi ove viene conservato. In tal senso, la Fondazione Omiccioli si propone di proseguire l’impegno dei due fratelli nell’incoraggiare ogni forma ed espressione d’arte tramite attività ed iniziative in collaborazione con enti ed istituzioni, di cui il primo atto è la creazione di una borsa di studio dedicata ai giovani artisti per offrire l’opportunità ad essi di esprimere la loro creatività.

Il presupposto che ha guidato la fondazione nella redazione del progetto “Noi, gli Omiccioli – racconti di storie e colore”, è ideare e progettare un’esposizione con il doppio intento di restituire il giusto rispetto che meritano artisti che hanno lascito segni indelebili esaltando l’arte romana e svolgendo un ruolo di notevole importanza nel panorama dell’Arte Figurativa italiana, a cavallo tra gli Anni Trenta e Settanta del secolo scorso, nonché sollecitare l’attenzione verso un periodo storico culturalmente fervido, spesso archiviato nell’indifferenza, i cui frutti sono invece esplosi in artisti affermati nella modernità del presente dando atto di come, nella diversità di stili e tecniche espressive, l’esperienza del passato codifica la visione dell’oggi.

Le opere che compongono il nucleo centrale dell’esposizione “Noi, gli Omiccioli – racconti di storie e colore”, sono anche un omaggio sentito al rapporto di Giovanni e Alfonso con la città di Roma e il suo territorio, una geografia di luoghi incantati e poetici. Tutte le opere scelte infatti rappresentano soggetti inerenti Roma e i comuni della sua provincia, quasi a disegnare un rapporto filiale con l’Urbe, che i due fratelli, nati e formatisi artisticamente in Via Margutta, hanno onorato per l’intera loro esistenza.

Fondazione Omiccioli

GIOVANNI OMICCIOLI

Giovanni Omiccioli, 1901 – 1975, si avvicina alla pittura completamente da autodidatta, ed è alla fine degli anni 30’ che nella bottega del padre, imballatore di opere d’Arte in Via Margutta, conosce prima Scipione e poi Mafai che lo incoraggiano a continuare. Profetico l’incontro nel 1933 con quest’ultimo. Subito nacque tra due una profonda amicizia che consentì al giovane Omiccioli di entrare in contatto con l’ambiente fecondo della Scuola Romana, senza però subirne l’influenza mantenendo la sua libertà creativa. Al 1937 risale la sua

prima personale a Roma e l’inizio delle partecipazioni alle varie edizioni di manifestazioni importanti quali la Biennale di Venezia e la Quadriennale di Roma. Nel 1941, in pieno periodo bellico, inizia a dipingere la serie degli “Orti” della periferia romana che terminerà nel 1945 e che lui stesso definirà “i miei Orti, una pittura con l’amaro in bocca”.

Titolo: Strada a Tor di Quinto
Tecnica: Mista su Carta Rifoderato
Dimensioni: 36X47
Anno: 1949
Ubicazione: Fondazione Omiccioli

Titolo: Fiori e Foglie
Tecnica: Olio su Tela
Dimensioni: 50X70
Anno: 1959
Ubicazione: Collezione Privata

Una pittura che affascina e rapisce lo sguardo dell’osservatore con lo stesso stupore di quando, da piccolo, Giovanni osservava dalle finestre di casa i pini di Villa Strolh Fern, dominare sugli opifici, e, poco distante, la disperata bidonville nel borghetto del Flaminio tanto simile a molte altre nella Roma degli anni Trenta. Quello stupore nella pratica giornaliera si è perduto nella pedissequa riproduzione di ogni istante del reale operata con i nostri onnipresenti dispositivi telefonici, sempre più estensione dell’individuo.

Il mondo poetico di Giovanni, che molti hanno voluto ricondurre ad Utrillo, Van Gogh o al modo di Matisse, non rileva condizionamenti diretti da questi maestri, bensì irrompe sulla scena romana in un clima ancora profondamente segnato dal senso di smarrimento seguito al primo conflitto mondiale. La pittura succosa e lucida di Giovanni assunse nel tempo un significato di eucarestia laica, di fede nella caritatevole solidarietà umana incisa in un “canto di ottimismo capace di farci scorgere il sole anche sotto le macerie delle catastrofi determinate dalla dismisura degli arbitri umani” (Ciarletta).

Come nota Mercuri, si assiste ad un’evoluzione stilistica e comunicativa del paesaggio che da un’iniziale vena malinconica, con dominanza dei toni scuri, spinge verso una gamma cromatica che si espande e schiarisce acquistando luminosità, con tocchi minuscoli che precisano sulla tela guizzi di rami e foglie, passi di minuscoli personaggi immersi tra le vie della città nella quotidiana commedia della vita. Elementi ben visibili nell’opera “Ponte Milvio” ove “trasfigurata e condensata nelle chiome degli alberi, percettibile nei contrasti cromatici vivaci di rossi, blu e gialli cui fa da contrappeso il tono fiabesco e la linearità a tratti nervosa dei fusti, con i personaggi ancora protetti dal retaggio di quel graticcio delle prime composizioni che ora, però, si apre all’immediatezza della scena e della vita con piccole aree di pittura quasi astratta nel complesso figurativo della scena” (Ciarletta).

Titolo: Capanni nel Verde
Tecnica: Olio su Carta Rifoderato
Dimensioni: 58X77
Anno: 1960
Ubicazione: Fondazione Omiccioli

Picasso ricorda che la semplicità non è immediata, ma si raggiunge per gradi. Così la tensione di Omiccioli si proietta nel raggiungere la semplicità attraverso un complicato rigore, che implica studio e completa dedizione quasi che dipingere fosse un disegnare per liberare impressioni sulla tela tramite la consuetudine costante con gli strumenti del mestiere e le cose, con uomini, animali, fiori.

È il passaggio stesso a fornire l’ispirazione per un sapiente uso dei verdi, dei gialli e rossi, con zone delicatamente sfumate alternate ad altre più materiche, di colore puro tipico di numerose opere dei primi anni Sessanta, evocando la funzione della vegetazione di far risaltare lo spazio attraverso un dialogo intimo, raccolto, gioioso tra individuo ed ambiente (Ciarletta).

Fondazione Omiccioli

ALFONSO OMICCIOLI

Alfonso Omiccioli, 1921 – 2004, inizia a dipingere a metà degli anni 50’. anch’egli, lavorando inizialmente con il padre, ripercorre l’iter del fratello e viene quindi spronato, sia dalle frequentazioni del mondo dell’arte nella bottega paterna che dal fratello, ormai pittore affermato, a dedicarsi esclusivamente alla pittura.

La parabola artistica abbraccia la seconda metà del Novecento, emancipandosi però dalla strada tracciata da Giovanni, all’interno di un rapporto “di una congenialità di respiro, di un flusso lirico-emotivo che si compone in una analogia d’ordine spirituale, lasciando del tutto autonomi gli approdi stilistici e affidando alla individuale verità dell’artista il felice superamento di un estetismo di comodo” (Civello).

Impegnato in una lettura diretta, netta, nervosa senza sottintesi della realtà che lo circondava, tutta la critica è stata sempre concorde nel dire che la pittura di Alfonso è espressione di spontaneità, di emozioni prive di pretese intellettualistiche.

I primi riconoscimenti arrivano a fine degli anni Cinquanta, con la partecipazione alla Quadriennale romana, risale però al 1969 la prima mostra personale a cui ne seguiranno tante altre, dove egli riporterà sulla tela sempre i vari aspetti, mai abbandonati, della natura e del paesaggio, ed in particolare della campagna romana.

Sempre prendendo a prestito le parole di Civello, la dimensione spaziale di Alfonso è fatta di “arioso paesismo, tutto vibrazioni e cadenze di luce” che trascina il riguardante “in una lettura diretta, senza sottintesi; il racconto cresce musicalmente su di sé, scaturendo da una sorta di idillico silenzio, da una contemplazione rarefatta”.

Titolo: Campagna Romana
Tecnica: Olio su Cartone
Dimensioni: 36,5X51
Anno: 1973
Ubicazione: Collezione Privata

Nelle sue tele amorosamente composte, respirate ed intrise di commozione, i contenuti si dilatano e migrano dalla realtà all’onirico, suggerendo come la visione dell’artista non sia determinata da pura emozionalità, o suggestione memoriale, bensì risponda alla volontà di sottrarre l’immagine all’immobilità della tela, al desiderio di renderla più reale del reale.

Egli sembra voler ricomporre “la perfezione di quell’ordine superiore, di cui l’uomo è parte integrante, palpabile nel giallo grano e nel verde delle foglie e degli alberi, al pari delle genti riprese a lavorare all’aria aperta e assolata” (Moretti).

Ancora Mercuri colloca le raffigurazioni di Alfonso “in un mondo di eco e memoria, privo di inquietudine e affanno, quasi una condizione umana svanita, insidiata perfino dal dubbio che mai siano esistita”, con le immagini “costruite su toni caldi e distesi di un colore senza sussulti, legate all’esperienze contingenti di un giorno diventano realtà; realtà dell’anima”.

Titolo: Contadine nel Campo
Tecnica: Olio su Cartone
Dimensioni: 35X40
Anno: 1984
Ubicazione: Collezione Privata

Titolo: Contadine nell’Orto
Tecnica: Olio su Cartone Telato
Dimensioni: 50X40
Anno: 1975
Ubicazione: Fondazione Omiccioli

Fuori da ogni retorica, la sua arte è il gesto rivoluzionario dell’uomo artista che si oppone, e contrappone, all’idea dell’immagine come surrogato della coscienza, antidoto all’azione politica e sociale.

In quell’apparente ingenuità stilistica, in taluni casi scambiata e confusa per naif, si agitano le emozioni dell’anima ad avvolgerci come nell’opera “Campagna romana e vecchio ponte”, realizzata in coincidenza della scomparsa del fratello Giovanni.

Le tinte scure e il pronte crollato rappresentano la trasformazione di un legame forte, che si spezza solo nella realtà contingente, perché quel sentimento non svanisce ma si evolve grazie alle azioni e ai ricordi del presente, si mantiene e rafforza con la memoria e si protrae nella costruzione del futuro in discontinuità con i modelli stereotipati di una modernità che rinnega i contenuti e depotenzia l’autenticità, e corposità visiva, a vantaggio di gabbie virtuali, nella falsità di una presunta libertà espressiva.

Autenticità ed originalità questi sono gli insegnamenti trasmessi dagli Omiccioli. Rimbaud scrisse “occorre essere assolutamente moderni”, e in questo i due fratelli lo furono seguendo la propria ispirazione in assoluta libertà compositiva, in un venirsi incontro con le cose ritratte.

Titolo: Campagna Romana e Vecchio Ponte
Tecnica: Olio su Cartone
Dimensioni: 51X73 cm
Anno: 1976
Ubicazione: Fondazione Omiccioli